Intervista a Kilian Hennessy: la magia del Marocco e un profumo per ogni mood

L’estate infuocava Milano, sembra passato un secolo ormai, quando sono stata invitata a partecipare a una di quelle esperienze che nella vita si classificano di solito come indimenticabili (e così è stato, per varie e inaspettate ragioni).

Era una mattina di fine luglio quando sono partita per un sorprendente viaggio in Marocco, in compagnia di monsieur Kilian Hennessy, alla scoperta di un ingrediente preziosissimo nel mondo della profumeria: il legno di cedro delle foreste di Atlante, protagonista di due capolavori come Sacred Wood e Rose Oud by Kilian. Due fragranze incredibili che, insieme a un’altra fragranza scoperta in questa occasione, sono entrate dritte, dritte nella mia personale classica di profumi preferiti.

Sono stati due giorni magici e sospesi, persi in un vortice di profumi, sapori, suoni e paesaggi che non avrei mai potuto neanche immaginare prima. Ma è stata anche e soprattutto l’occasione di intervistare uno dei più interessanti creatori di profumi degli ultimi anni: Kilian Hennessy. Durante questa lunga conversazione subisco evidentemente il suo fascino, parlando di materie prime e processi creativi, fragranze speciali e come indossarle, marshmallow, legni cremosi, colonie che fanno da scudo, ricordi di cognac e bellezza imperfetta.

Kilian Hennessy

In questi giorni ho capito che il concetto di «guardaroba di profumi» per te è molto importante…
Se devo essere sincero non penso che l’importanza di questo concetto riguardi soltanto me. Sono convinto che l’era dei nostri nonni, quella in cui si usava un solo profumo per tutta la vita, sia finita.

È finita l’era del «signature perfume»?
Credo proprio di sì. È a dire il vero non posso che esserne felice! Decidere di allungare la mano ogni mattina per prendere sempre la solita boccetta, senza nemmeno più pensare a che cosa sia un profumo, un poco mi rattrista. In fondo non usiamo mai lo stesso paio di scarpe o di orecchini, né mai gli stessi accessori… perché dovremmo usare sempre lo stesso profumo? Il profumo, per me, è anche un elemento che definisce la personalità e che aiuta a sintonizzarsi su un certo mood.

Per esempio?
Se stai andando a un appuntamento, vuoi un profumo che ti faccia sentire più bell*, più sexy, che t’infonda anche un po’ di coraggio magari. Io stesso ho un guardaroba di profumi con cui mi piace giocare in base a come mi vesto, al tempo che fa, al mio stato d’animo o a come mi vorrei sentire.

Parliamo del mood dei profumi che ho scoperto qui: Sacred Wood e Rose Oud. Dove li collochiamo nel guardaroba?
Penso siano molto versatili, camaleontici. Non sono dolci. Non sono leggeri. Si fanno notare, credo. Ma sono come diamanti grezzi: c’è una ruvidezza in loro che amo. Immagino, per esempio, di indossare Sacred Wood per un date, per una riunione molto importante, al lavoro… Penso si possa adattare a molti momenti della giornata.

Posto che la distinzione fra profumi da donna e da uomo è superata, mi chiedo a che tipo di donna assoceresti Rose Oud?
È buffo, perché quando creo un profumo non penso mai al tipo di persona che lo indosserà…

Davvero?
Ti spiego, ci sono due tipi di profumo per me: quelli basati sulle materie prime, come questi due, per i quali il nome del profumo è anche il nome del suo ingrediente principale (Sacred Wood e Rose Oud) – e non sono molti – e poi tutti gli altri: Voulez vous voucher avec moi, Good girl gone bad, Straight to Heaven… questi hanno dei nomi che sono una specie di copione per me. Con loro provo a raccontare una storia, l’emozione e la suggestione racchiusa in quelle parole.

Per Sacred Wood e Rose Oud il lavoro è stato diverso. Se dovessi fare un paragone con l’arte li rapporterei a quello che fa Soulage con il nero. È un lavoro con la materia prima, la ricerca della luce al suo interno. Quando ho creato Rose Oud, per esempio, la mia idea era di dar vita a una rosa incandescente: fuochi d’artificio di spezie e legni. Ecco, da questo punto di vista posso solo dirti che forse non immagino queste due fragranze su una ragazza di 18 anni. Ho la sensazione che richiedano una certa esperienza. Penso che entrambi, per essere apprezzati fino in fondo, abbiano forse bisogno di un senso dell’olfatto più sviluppato, di esperienza. Vale sempre il paragone con Soulage. Magari se hai 18 anni, non conosci l’artista e ti avvicini a una sua opera per la prima volta, potresti vedere solo nero. Per capirlo e apprezzarlo devi prima avvicinarti al suo lavoro.

Non ti è mai capitato di vedere un film o di leggere un libro e di pensare a che profumo potrebbe indossare quel personaggio?
No. Immagino il suo viso e il suo corpo, immagino la sua persona.

Me ne farò una ragione! Ma torniamo alle materie prime, allora: qui abbiamo scoperto il legno di cedro…
Il legno di cedro del Marocco! Lavoriamo anche con i legni di cedro della Virginia, del Texas e dell’Alaska e sono completamente diversi l’uno dall’altro. In Rose Oud ci sono due legni di cedro: quello di Atlante e quello texano.

Foresta di Atlante (Marocco)

Come descriveresti questo legno di cedro, in particolare?
Fruttato – con una sfumatura d’albicocca – lattiginoso e, ovviamente, legnoso. Ma è un legno diverso dagli altri perché è l’unico che non contiene il cedrol, una componente (ma anche una materia prima) che ha un odore simile a quello della grafite: molto scuro. C’è in tutti i legni di cedro, tranne in quello di Atlante.

Come lavori di solito? Pensi prima a un ingrediente che t’interessa e poi crei il profumo oppure, viceversa, pensi al profumo e poi scegli gli ingredienti?
Non ci sono regole. Sia per Sacred Wood, sia per Rose Oud è stata una conversazione con il naso Calice Backer. E per Sacred Wood in particolare è stata una conversazione intorno a questa materia prima meravigliosa, di cui ci siamo innamorati. A un certo punto abbiamo parlato molto del sandalo di Mysore, che non possiamo più impiegare in profumeria (il governo indiano ne ha impedito l’esportazione per varie ragioni). Con Calice abbiamo provato a ricreare il profumo del sandalo, ed è nato Sacred Wood.

Per Rose Oud invece?
È stato diverso: si tratta di una classica combinazione di rosa e oud. Ma ce ne sono migliaia in profumeria! Ho chiesto a Calice di provare a rendere francese un profumo creato con materie prime riconosciute come tipicamente orientali.

Dall’idea al prodotto finale: come funziona?
Il processo può avvenire in tanti modi diversi, ma direi che, per quanto riguarda me, prima nasce l’idea e poi viene la scelta del naso che la realizzerà. Mi piace paragonare il mio lavoro a quello di un regista cinematografico, che scrive la sceneggiatura del suo film e sceglie gli attori e le attrici più adatti – per sensibilità e personalità – a interpretare i vari ruoli. In questo caso, i nasi sono come gli attori: ognuno ha il suo stile olfattivo. Qualcuno crea con formule molto brevi, nelle quali gli ingredienti principali escono fuori prepotentemente, attraverso creazioni di grande impatto. Altri invece amano lavorare con formule molto dettagliate, a volte anche 200 ingredienti… o più. Ed è come se lavorassero un pizzo. Le emozioni che risvegli sono diverse. Se ci sono dieci ingredienti questi esplodono, come in una sinfonia di Wagner. Se ce ne sono cinquanta, sessanta, settanta o ottanta, è come ascoltare Mozart. Dipende un po’ da che sensazioni vuoi suscitare.

La scelta del naso ovviamente è importantissima…
È la chiave. Non amo mettere i nasi in competizione tra loro. Non lo faccio mai. Quando comincio un progetto con un profumiere lavoro con lui e basta. Ed è un lavoro a quattro mani. Ci vediamo tutte le settimane, parliamo quasi ogni giorno al telefono e poco a poco costruiamo il profumo. Io do gli accordi e poi chiedo di farmi diverse proposte sul tema, finché non individuiamo una «melodia» che non ho mai annusato prima. Questa è una cosa di cui vado fiero: penso che nessuna delle mie fragranze assomigli a qualcosa che esiste già.

Hai degli ingredienti preferiti?
Certo! Il legno di cedro di Atlante che hai conosciuto qui, la vaniglia, la tuberosa, il sandalo. Tutti ingredienti di cui sono innamorato dal primo giorno, anche perché sono versatili e permettono di lavorare a creazioni sempre nuove. Poi ci sono altri ingredienti, per certi versi più complessi, come per esempio l’Absolut Bourgeon de Cassis o l’osmantus, che amo usare solo quando possibile. Infine, ci sono anche ingredienti che non amo particolarmente… ma che all’improvviso portano colore alla composizione e mi fanno innamorare.

Distilleria di Azrou (Marocco)

A questo proposito: quando ti sei innamorato del mondo dei profumi?
Durante l’ultimo anno di università. Ho fatto una tesi sulla semantica degli odori e, per capire bene di cosa stessi parlando, ho fatto una scuola per nasi. Avevo 22 anni.

È cambiato il tuo rapporto con i profumi da allora?
A un certo punto ho anche pensato di mollare, sai? Ho lavorato per anni con diversi gruppi importanti ma continuavo a cambiare, non ero mai contento. Il processo creativo coinvolgeva tante persone e alla fine io non ero mai del tutto soddisfatto del prodotto finale. Non puoi vivere la vita facendo cose di cui non vai fiero… Stavo per lasciare tutto.

Se tornassi indietro cambieresti qualcosa nel tuo percorso?
No. Ogni lavoro, comunque, è stato un’esperienza importante per me.

E a un certo punto hai deciso di fare i tuoi profumi...
Quando ho deciso di fare i miei profumi l’ho fatto per tornare a essere fiero di me. Non avrei mai pensato che sarebbe diventato un business. È stata una vera e proprio sfida con me stesso. Volevo capire cosa avrebbero pensato le persone di un prodotto fatto interamente da me, dalla A alla Z. Volevo sapere che reazione avrebbero avuto gli altri, di fronte alla mia visione del profumo.

Ed è andata molto bene, direi! Qual è stata la tua prima creazione?
Ho lanciato una collezione di sei profumi e fra questi ce ne sono tre ancora molto famosi, due addirittura sono tra i nostri bestseller: Love, Don’t be shy e Straight to Heaven.

Incredibile… So che Love, Don’t be shy è andato sold out!
È continuamente sold out… Siamo sempre out of stock.

Rhianna ha giocato un ruolo importante in questo?
Il fatto è che la stampa continua a parlarne… Ma io non ne ho mai parlato. Sono convinto, comunque, che le persone sentano la qualità e la creatività che c’è in Love, Don’t be shy. È la prima fragranza che ricrea l’accordo del marshmellow, ma non si tratta solo di questo. C’è il marshmallow, sì, ma con i fiori d’arancio, insieme a un bouquet di altri fiori meravigliosi – rose, iris, gelsomino – e poi un drydown molto sexy, animalico, balsamico (c’è il labdano). È l’insieme che funziona.

Posso sapere qual è la tua Top Five?
Per quanto riguarda le vendite: Love, Don’t be shy, Good girl gone bad, Angels’ Share, Black Phantom, Straight to Heaven

E i tuoi preferiti, invece?
Da indossare o da sentire sulla pelle di una donna?

Entrambe le cose…
I miei preferiti da indossare: Kologne (la mia prima colonia!), Angels’ Share, L’Heur Vert, Straight to Heaven e Black Pahntom.
Sulla pelle di una donna: Angels’ Share, Love, Don’t be shy, Rolling in Love e – di sicuro – Good girl gone bad.

La tua creazione più intima?
Angels’ Share, perché è la mia memoria olfattiva delle cantine di cognac Hennessy. E poi la nuova Kologne, Shield of Protection. Sai che nel XVIII secolo la colonia veniva usata come scudo contro le malattie e i virus? Ti racconto un aneddoto: ero a New York durante la prima ondata di Covid (sono rimasto bloccato lì quattro mesi, prima di poter rientrare in Europa) e tornando a Parigi, sull’aereo, nella business lounge dell’Air France c’era questa enorme bottiglia di colonia. Quando l’ho vista ho reagito come un uomo del XVIII secolo e mi sono riempito di profumo, con l’intento di proteggermi. Appena atterrato ho chiamato Calice e le ho detto: «Dobbiamo mettere a punto la colonia a cui stiamo lavorando da due anni ormai. Voglio la mia protezione!». Così è stato.

Mi viene in mente un’altra domanda, se posso. Ci sono altri profumi che hai amato, prima dei tuoi?
Oh, sì. Molti. Uno dei profumi che usato di più è Feminitè du Bois di Shiseido: un capolavoro. Penso che Jacques Cavallier abbia creato dei meravigliosi profumi. Nu e M7 per Yves Saint Laurent sono incredibili. L’eau per Issey Miyake è incredibile. A livello di creatività e personalità sono sorprendenti. Jacques è stato il mio insegnante e il mio mentore per 10 anni. Mi ha insegnato tutto quel che so sui profumi.

Torniamo al guardaroba, facciamo questo gioco: ti propongo delle situazioni e tu mi dici qual è il profumo più adatto. Ci stai?
Certo. Per me o per te?

Per me, grazie (sorrido). Cominciamo con qualcosa di difficile: un profumo per la palestra.
Roses on ice oppure Vodka on the rocks.

Per andare a dormire.
Flower of Immortality.

Per un appuntamento…
Angels’ Share, Good girl gone bad, Love, Don’t be shy.

Per un incontro di lavoro molto importante.
Kologne.

Per una notte a New York.
Apple Brandy.

Per sentirmi una creatura fatata.
Good girl gone bad.

Grazie! Ora però ritorno da dove sono partita. È proprio vero che non hai mai creato un profumo per qualcun altro?
Mai. Il profumo è una creazione complessa. Devi pensare che il mio modo di creare è simile alla costruzione di un puzzle: una volta che hai l’accordo, hai creato la cornice. La melodia della canzone. In quel momento capisci che cosa c’è raffigurato nel puzzle: un paesaggio, una scena. L’accordo poi «chiama» alcuni ingredienti e ne respinge altri. Questo non lo so mai all’inizio. Piano piano, mettendo insieme i pezzi, aggiungendo gli ingredienti, il puzzle prende forma. Lavoro con le materie prime e – come ti dicevo – quel che mi interessa è creare qualcosa di nuovo, che nessun altro ha mai fatto.

Tutto dev’essere al suo posto. Perfetto.
Ai miei occhi, certo (sorride)… Ma io non amo la perfezione. La bellezza è imperfetta.

Lo spero!
Non ci si ricorda mai delle ragazze perfette – delle più belle, se vogliamo –, ma di quelle che hanno qualcosa di particolare, che le distingue da tutte le altre.

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