Dentifrici: caratteristiche e proprietà

Destreggiarsi tra le numerosissime tipologie di dentifrici che esistono in commercio oggi è un’impresa veramente ardua. Inutile dire a voi, attente lettrici di MUSA, che in molti casi le caratteristiche scritte a caratteri cubitali sulle confezioni sono perlopiù strategie di marketing. Non esistono, per esempio, dentifrici in grado di rimuovere il tartaro, né tantomeno di sbiancare i denti di più di due tonalità!

Come si fa quindi a scegliere il dentifricio più adatto alle proprie esigenze?

La risposta è molto semplice: dobbiamo imparare a prendere confidenza con l’INCI e cercare di riconoscere al suo interno le sostanze più in linea con le nostre necessità. Cominciamo ad analizzare insieme i vari componenti che si trovano all’interno di un dentifricio.

Illustrazione di Silvia Gherra

La base di tutti i dentifrici è il principio attivo o agente terapeutico, cioè la sostanza che determina la destinazione e lo scopo del prodotto. È contenuta in una percentuale che varia dall’1 al 2%. In base alle nostre esigenze possiamo scegliere tra:

Agenti antiplacca: aiutano a prevenire la formazione di batteri sulla superficie dei denti e hanno un effetto antinfiammatorio diretto sui tessuti gengivali. Le sostanze più usate sono Triclosan, citrato di zinco, cloruro di zinco e fluoruro stannoso.
Agenti di prevenzione della carie: il più comune, il più efficace e purtroppo anche il più dibattuto agente protettore dalla carie è il fluoro. Ne parleremo in modo approfondito prossimamente ma per ora mi preme sottolineare che l’utilizzo topico, quindi attraverso il contatto di dentifrici e gel fluorati con la superficie del dente, ha drasticamente dimezzano negli ultimi dieci anni la percentuale di denti cariati, soprattutto in età pediatrica.
Agenti per ridurre l’ipersensibilità dentinale: utilissimi per chi ha problemi di colletti scoperti e gengive ritirate, perché riescono ad attenuare molto il fastidio causato dal contatto con sostanze fredde o acide. Agiscono in due modi: desensibilizzando il nervo e/o occludendo i tubuli presenti nella dentina, nei quali scorrono le fibre nervose. La sostanza più utilizzata per desensibilizzare il nervo è il nitrato di potassio; mentre per occludere i tubuli dentinali si utilizzano sali di stronzio (Acetate, Chloride), fluoruro stannoso o calcio sodio fosfato.
Agenti per combattere l’alito cattivo: agiscono sui composti volatili solforati (VSC), i principali responsabili dell’alitosi. Il più utilizzato è il Methyl Mercaptan.

In aggiunta al principio attivo ci sono altri componenti di base che si ritrovano in tutti i dentifrici. Si differenziano in:

Agenti abrasivi: determinano la capacità pulente di ogni dentifricio. Sono utilizzati per ottenere una superficie dei denti liscia, prevenendo e ritardando così il riaccumulo di macchie o depositi. Nell’INCI li troveremo elencate con il nome di: Hydrated Silica, Calcium Carbonate, Dicalcium Phosphate Dihydrate, Calcium Pyrophosphate, Sodium Metaphosphate, Alumina, Perlite e Sodium Bicarbonate. I primi due sono i più utilizzati e si trovano con una percentuale tra 8 e 20%; il bicarbonato è il meno abrasivo e si trova in percentuali anche del 50%, mente i più aggressivi (presenti spesso nei dentifrici definiti sbiancanti) sono l’allumina e la perlite.
Tensioattivi: sono responsabili dell’azione schiumogena e riescono a emulsionare i detriti, in modo da consentirne una più facile rimozione con lo spazzolino. Vengono usati in percentuale tra 0,5% e 2,5%. Il più utilizzato è il Sodium Lauryl Sulfate (SLS), un tensioattivo anionico, che però risulta essere molto irritante sulle mucose; in particolare esiste una stretta correlazione tra l’uso di dentifrici con SLS e la comparsa di afte e stomatiti aftose. Nonostante queste evidenze scientifiche, le aziende continuano a impiegarlo ed è presente nella maggior parte dei prodotti. Il motivo è che ha un’ottima capacità schiumogena, un gusto accettabile e un costo di molto inferiore rispetto agli altri tensioattivi. Le alternative possono essere dentifrici che contengano tensioattivi anfoteri come il Cocamidopropyl Betaine, che non è mai stato connesso a problemi alle mucose e ha l’unico svantaggio di non fare moltissima schiuma: la sensazione inizialmente sarà un po’ strana ma i tessuti del vostro cavo orale vi ringrazieranno.
Addensanti: utili per stabilizzare la formulazione e prevenire la separazione degli ingredienti solidi e liquidi durante la conservazione. I più comuni sono: Carboxymethylcellulose, Hydroxyethyl Cellulose, Carrageenan, Xantan Gum e Cellulose Gum.
Umettanti: evitano l’evaporazione e la separazione dell’acqua e forniscono un aspetto liscio e lucido. Sono contenuti in una percentuale tra il 20 e il 30% e i più comuni sono: glicerolo (Gliceryn) e sorbitolo (Sorbitol), che hanno una buona compatibilità con gli altri eccipienti e un basso costo della materia prima. Si possono trovare anche Xylitol, Isomalt ed Erythritol.
Conservanti: servono per prevenire la proliferazione batterica e prolungare la conservazione; il meno aggressivo è il Sodium Benzoate.
Aromatizzanti: necessari per rendere il dentifricio gradevole e mascherare il cattivo sapore degli altri componenti. Gli oli essenziali più utilizzati sono la menta, la cannella, i chiodi di garofano e il limone.

Come avrete potuto intuire i dentifrici sono il prodotto per l’igiene orale più complesso e, per essere sicuri di fare la scelta giusta, bisogna prestare attenzione a moltissimi fattori. Imparare a leggere e interpretare l’INCI è sicuramente un aiuto e un buon punto di partenza (anche se spesso è lunghissimo!).

In linea generale, ricordatevi sempre di scegliere prodotti non troppo abrasivi per non rovinare lo smalto dei denti, di evitare l’SLS e di non esagerare con le quantità: la quantità corretta di dentifricio da mettere sullo spazzolino equivale alla grandezza di un pisello (pea size).

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