In cerca di Transwonder-land, Noo Saro-Wiwa

Incontrare Noo Saro-Wiwa implica diverse cose e diversi momenti. Il primo, almeno per me che dovevo farle da interprete, è scoprire come si pronuncia il suo nome. Che nel libro suggerisce di pronunciare «Gno» e poi a voce ti dice di no, di dimenticare tutto, è rivolto agli inglesi e voi non avete questo problema. Allora ci provo. Va bene così? Ehm, no. Evidentemente noi italiani qualche problema ce l’abbiamo.

Superato lo scoglio del nome, ci si imbatte subito nel cognome. E lì si apre davvero la storia, la vita, il dolore e la meraviglia che rendono Noo la donna che è. Impossibile aggirarlo, quel cognome. Impossibile ignorarlo, anche. Perché. Perché Ken Saro-Wiwa era suo padre. L’uomo che è stato definito «il Mandela nigeriano». L’uomo che lei ha descritto così, alla richiesta di raccontarci chi fosse.

Era un uomo incredibilmente energico, intelligente, ambizioso. È stato il primo del suo villaggio, il primo del suo gruppo etnico (gli ogoni) a laurearsi. L’educazione gli ha dato subito grande consapevolezza dell’ingiustiza.

Nella sua vita ha fatto tantissime cose. È stato un professore universitario , ha combattuto nella guerra civile, ha messo in piedi un’impresa edile di successo, e poi ha scritto poesia, e libri per bambini e per adulti, e opere teatrali. Ha trasportato la famiglia in Inghilterra e ha vissuto con un piede nel Surrey e uno a Port Harcourt. Negli anni ’80 ha iniziato la sua campagna di lotta e sensibilizzazione a favore delle popolazioni del Delta del Niger, particolarmente colpite dai danni delle compagnie petrolifere (la Shell nello specifico). Nel ’95 finisce per pestare i piedi dei potenti una volta di troppo: incarcerato con otto colleghi viene impiccato e il suo corpo è gettato in una fossa comune. Grazie a lui non solo gli ogoni, fino a quel momento un gruppo etnico minore quasi sconosciuto anche ai loro connazionali, in qualche modo cominciano a esistere, ma da allora le compagnie petrolifere sono obbligate a rispondere delle loro responsabilità e a sviluppare una politica sociale d’impresa. Magari solo di facciata, ma almeno c’è per loro l’obbligo di quantomeno fingere.

Nel 1995 dunque Noo, che fino a quel momento, ha odiato ogni singola estate passata in Nigeria, ogni minuto di quei due lunghissimi mesi in un villaggio sperduto con i parenti e senza la tivù (un gulag, per una ragazzina della sua età), chiude i rapporti con il suo paese. Per oltre dieci anni dimentica la Nigeria e cerca di vivere senza di lei e dei ricordi tristi che racchiude.

È solo dopo tredici anni che trova il coraggio e la forza di tornare lì. Ma decide di farlo come turista: ha imparato a viaggiare, è il suo lavoro scrivere guide turistiche e articoli di viaggio, ha percorso tutta l’Africa in lungo e in largo. Forse anche la Nigeria può essere visitata con occhi freschi e da outsider?

IN CERCA DI TRANSWONDERLAND, NOO SARO-WIWA, 66THAND2ND, 2015 (18€)

Inizia così un viaggio che è una conciliazione con un paese e una storia di cui riappropriarsi. Noo prende lo zaino, se lo carica in spalla e percorre le strade sovraffollate di un paese che ritrova e riscopre da zero. Si fa carico della sua condizione di outsider. Non solo perché è cresciuta in Inghilterra e molti faticano ad andare oltre al suo marcato accento british. Ma perché solo viaggiando in zone del suo paese che non ha mai visto, si rende conto che l’idea stessa di essere nigeriana è qualcosa che forse vale solo in Europa ma non nel suo paese. Nel vecchio continente infatti chi viene dalla Nigeria è nigeriano, ma lì si è yoruba, fulani, ogoni, igbo… Fuori dalla propria terra si parlano lingue diverse, si vive un paese diverso, si è estranei in casa propria.

E questo ti permette di porre domande che uno del posto non avrebbe il coraggio di azzardare. Di vedere cose che gli altri non sospettano neanche che ci siano (bellezze naturali e musei di cui i nigeriani sembrano del tutto inconsapevoli). Di apprezzare alcuni aspetti e di criticarne altri che la distanza ti permette di giudicare con obiettività.

Di prendere la Nigeria e renderla comprensibile e bellissima per tutti quegli occidentali come noi che la leggono attraverso le tue parole.  Di tornare in Europa e ritrovare anche lì una forma di «esternalità», perché per quanto Londra sia casa il fatto di essere nera e nigeriana ti renderà sempre in qualche modo una outsider. Di fare di quell’essere outsider un vantaggio e qualcosa che, invece di schiacciarti, potrebbe definirti e permetterti il movimento.

Di restituire al mondo la storia di tuo padre, Ken Saro-Wiwa, e tenere viva la sua lotta e la sua memoria. E quel pensiero di giustizia che ti fa dire di lui che «Mandela ha definito il coraggio non l’assenza di paura ma il trionfo su di essa. L’uomo coraggioso non è colui che non si sente impaurito, ma colui che vince la paura. In questo senso mio padre era coraggioso».

In questo senso Noo Saro-Wiwa è la donna impavida che ti colpisce. Perché tutto quel dolore e tutto quel timore li ha messi in uno zaino e, impaurita, ci ha fatto conoscere la Nigeria.

«Sono arrivata in un paese in cui non avevo mai vissuto e in una città che in precedenza ho visitato solo un paio di volte e per poco tempo, in mezzo a gente che mi risultava del tutto estranea. È stato il più alienante dei ritorni a casa». (Noo Saro-Wiwa)

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