NON SOLO MUSE: DORA MAAR

«Tutti questi ritratti di me sono bugie; è tutto Picasso, niente Dora Maar. Credi che m’importi di essere ricordata grazie a loro? A Madame Cézanne importa? A Saskia Rembrandt importa? Ricordate che io pure sono un’artista.»

Bastano queste parole di Dora Maar, tratte da una chiacchierata con James Lord, per scorgere alcuni tratti distintivi dell’artista: passionale, misteriosa ed ecletticamente talentuosa (così verrà descritta anche dallo stesso Lord, che diventerà suo amico e biografo).

Henriette Theodora Marković nasce a Parigi a novembre del 1907 (Scorpione ascendente Bilancia), figlia unica dell’architetto croato Joseph Markovitch e di Julie Voisin, una donna molto severa, appartenente a una famiglia cattolica di Touraine, proprietaria di un atelier di moda.

Trascorre l’infanzia e l’adolescenza tra Parigi e Buenos Aires, dove il padre lavora a importanti commissioni.Se da un lato, grazie alla sua famiglia, Dora parla fluentemente inglese, francese e spagnolo, e ha modo di studiare e appassionarsi alla storia dell’arte – specialmente a de Chirico – e all’architettura, dall’altra è vittima della costrizione materna. La porta della sua camera da letto è una vetrata, celata appena da una tenda, che consente alla madre di controllarla continuamente: in questo modo Julie le impedisce di stare sola con se stessa e la priva della libertà di vivere appieno la sua adolescenza. Dora è inoltre mancina, ma viene educata e forzata a utilizzare la mano destra, cosa che influenzerà moltissimo i suoi lavori di pittura (una tra le tante grandi passioni di Dora).

Tra il 1923 e il 1930, a Parigi, consolida la sua identità di pittrice e fotografa. Studia all’École et Ateliers d’Arts Décoratifs – dove lega con Jacqueline Lamba – e all’Académie Lhote, in corso con Henri Cartier- Bresson, che l’ammira e la incoraggia a concentrarsi sulla fotografia.

È in questo periodo che Henriette Theodora diventa Dora Maar, forse per cancellare le tracce borghesi della famiglia, e riesce a conquistare la Montmartre di Buñuel, Prévert, Dalì e Breton – futuro marito dell’amica Jacqueline – grazie al suo charme misterioso, all’umorismo tagliente e all’inconfondibile immaginario, macabro e mistico, che farà di lei un riferimento nel panorama surrealista.

Lo sguardo sensibile di Dora non somiglia a quello di chi è cresciuto nell’agio e nella spensieratezza: viene catturato dagli ultimi, dagli zonards della periferia parigina, dagli emarginati nelle baracche, dai mendicanti disperati, dalle donne abbandonate con i propri figli.

Dora non si limita a documentare la sofferenza delle persone, esplosa dopo la crisi della Borsa di New York del ’29, ma vi partecipa intensamente, gridando attraverso i sui lavori la necessità di vivere in una società civile più giusta, in base a nuovi ideali d’uguaglianza. È militante agguerrita nel collettivo antifascista «Contre-Attaque», con Breton e Bataille, e le sue opere di denuncia sono eccellenti, drammatiche, quasi espressioniste, ma caratterizzate sempre da una composta dignità.

Il suo talento viene notato dallo scenografo e art director Pierre Kéfer. Insieme a lui apre uno studio fotografico pubblicitario di grande successo, che propone innovative campagne di moda, nudi e fotografie erotiche. Dora padroneggia tecniche come il collage e il fotomontaggio, gioca con le luci e i contrasti. Grazie ai suoi lavori si fa notare anche da Lee Miller e Man Ray che non solo la ritraggono, ma l’apprezzano e la sostengono. Seppur giovanissima, sta già consolidato il suo ruolo d’intellettuale e visionaria.

Man Ray – Dora Maar (1936)

In quegli anni intreccia una relazione di mutua ammirazione e condivisa visione poetica con il fotografo Brassaï. Emmanuel Sougez è invece il suo mentore: insieme a lui approfondisce la ricerca fotografica per poi aprire la sua camera oscura, al 29 Rue d’Astorg – nell’ottavo arrondissement di Parigi.

Lo smalto lustro dei suoi numerosi talenti purtroppo però non la protegge da un cuore predisposto a soffrire: la prima volta naufraga infatti nelle filosofie ciniche di Georges Bataille, compagno politico, arguto e battagliero, ma ossessionato dall’erotismo e dal sesso, fedifrago al punto da trascurarla e infine  perderla.

Dora trova però consolazione nel suo irrefrenabile successo e nella continua sperimentazione, che la eleggono nell’Olimpo dei riferimenti (tutti maschili) del Surrealismo. Le tecniche e i temi sono ricorrenti: il sonno, l’erotismo, il fantastico.

Dora Maar, Untitled (Hand Shell), 1934

In questo suo periodo di massima ascesa, siamo attorno al 1935 l’amico Paul Eluard le presenta Picasso, che sta invece arrancando e attraversa uno dei periodi più bui della sua carriera. Dora ha solo 25 anni. Dapprima è diffidente, ma poi si lascia affascinare e conquistare dal carisma e dalla verve dell’andaluso, che ha il doppio dei suoi anni. Sarà Dora a mostrare a Picasso le foto della città di Guernica in fiamme, pubblicate sul Ce soir, che gli saranno d’ispirazione per la sua Guernica; sarà Dora a ragionare sul processo creativo dell’opera, elevandola e mistificandola, contribuendo anche materialmente alla sua realizzazione.

Lei lo fa ridere, lo protegge e lo ama follemente. Lui la fa piangere e la distrugge mentalmente per scomporla geometricamente, piegandola per poterla ritrarre secondo la sua visione. «Dora per me è sempre stata una donna che piange. È importante, perché le donne sono macchine per soffrire»… È così che ama un genio?

Mentre Dora gl’insegna a stare in camera oscura, lui la convince ad abbandonare la fotografia per la pittura, terreno dove solo lui può primeggiare. Dirà di lui: «Pablo è uno strumento di morte. Non è un uomo, è una malattia, non un amante, ma un padrone».

Lui le ruberà la scena alle mostre, facendola fuggire furente, per poi vantarsi di avere un’artista eccezionale come compagna. La tratterà come un oggetto in suo possesso. E poi la lascerà. Dopo nove anni di abusi, fisici e mentali, senza mai smettere di logorarla anche a distanza, facendole terra bruciata intorno, imponendole l’oblio dei critici, deridendola per non avergli dato figli e per aver smesso di brillare in campo artistico.

Dora è persa in un labirinto e lui è il suo Minotauro. Viene affidata alle cure psichiatriche di Jacques Lacan, e sottoposta a elettroshock. Titolano i giornali dell’epoca: «Dora impazzita», «Dora, la donna che piange», «L’amante abbandonata di Picasso», «Schiava di Picasso», «Dora, lacrime e fantasmi».

Ma lei sopravvive. Non vuole dargli la soddisfazione del suicidio. Dipinge ancora, è dedita alla spiritualità. Riprende la macchina fotografica in mano a settant’anni, vende alcune opere per sostentarsi. Muore a Parigi nel 1997, nella solitudine e nell’anonimato di un ricovero, all’età di novant’anni, risvegliando nuovi pettegolezzi su di lei.

Il suo innegabile talento è sopravvissuto fino a noi, filtrando tra le crepe di questo simulacro d’amante abbandonata che Picasso le modella addosso, ed è tornato in mostra (ancora fino al 15 marzo alla Tate di Londra): rivalutato, riscoperto, liberato dall’ombra di quel rapporto fracassato, che l’ha resa vittima sacrificale del genio di qualcun altro.

Dora non piange per voi. 
Dora brilla.

Dora Maar, Mannequin Etoile, 1936

ndR: Questo articolo è frutto di un’approfondita e variegata documentazione, che ha messo in luce quanto Dora Maar sia una di quelle figure femminili forti e influenti, raccontate in modo controverso. Persiste purtroppo una visibile discrepanza nella narrazione e un forte fenomeno di male-gazing nel trattamento delle fonti biografiche.

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