L’arte della gioia, Goliarda Sapienza

In tutti c’è una musa selvaggia che non si lascia addomesticare, una creatura dai lunghi capelli argentati, in alcun modo gestibili, che profumano di salsedine. Per questa donna luminosa che vi viene a trovare nel sonno, per i suoi occhi brillanti e la sua mente affilata, dovete leggere L’arte della gioia di Goliarda Sapienza.

Pubblicato per la prima volta, a metà, nel 1994, fu giudicato troppo sperimentale e immorale perché la seconda parte potesse vedere la luce. Seguirà poi alterne e mai felici vicende fino al successo tedesco e francese, da cui, nel 2008, l’edizione Einaudi che chi scrive ha comprato e letto.

Il libro segue la straordinaria vita di Modesta, nata in Sicilia il 1° gennaio 1900 per trascorrere un’intera esistenza a praticare meticolosa un’arte affatto zen, quella della ricerca fisica, affettiva, politica e spirituale della felicità.

In questa ricerca non sono poche le sfortune: nasce povera, come prima cosa. Perde presto la sua famiglia e finisce in un cupo convento – da cui, però, trova un’argutissima via d’uscita che la porta a ereditare un titolo nobiliare. Perde amanti e amici; viene fraintesa, ostacolata, imprigionata; soffre la sua feroce modernità in una giovane e nerissima Italia. La figura femminile di cui leggiamo, tuttavia, è perfettamente in grado di sopravvivere: cerca addirittura di essere felice e, ammessa una particolare accezione di gioia, le capita persino di riuscirci.

Collage di Francesca Coppola

Dove sia il segreto di questa ricetta, amiche e amici, è un mistero che sono ben lontana dall’aver scoperto. Quello che mi pare suggeriscano queste avventurose cinquecento pagine, però, è che si debba guardare all’incrollabile determinazione con cui Modesta decide di amare. Lei ama chi per primo la ascolta, ama le giovani ragazze delicate con cui scopre la sua forza, ama gli uomini che non le somigliano, ama i suoi figli e i figli di chi ama, ama chi è meglio di lei e il mondo nuovo in cui credono. Modesta ama se stessa, toccandosi a quattro anni nella primissima pagina del romanzo, e ama fino alla sua vecchiaia, quando nessuna retorica è più possibile. Ma non ci inganni tutto questo amore: la suddetta arte sembra richiederci anche lucida intelligenza e infaticabile dedizione, non escludendo affatto il dolore, piuttosto esigendo di attraversarlo con religiosa attenzione, quasi in stato meditativo.

E alla forse banale verità secondo cui alla gioia si arriva dal dolore e insieme al dolore l’arte di Modesta aderisce pienamente. La donna consapevole che vediamo incarnare risolta una moderna femminista è il prodotto letterario di dolorose elaborazioni: i nemici muoiono, le relazioni finiscono, le violenze si subiscono e, soprattutto, si esercitano.

Come una Lila dalla fibra ideologica più in vista, Modesta è un rivoluzionario personaggio femminile che, nel Novecento e da esso, vuole tutto e prova a prenderselo con coraggio, scaltrezza e ragione. In questo gioco non c’è morale perché di guerra si tratta: la guerra per un’indipendenza dai contorni ancora oggi incerti. Se dunque a Modesta è concesso essere chi vuole, lontana dai cliché di figure monolitiche – è insieme madre accogliente e amante irresistibile, amica fidata e arrampicatrice, furba ragazza e severa signora –, il prezzo che paga è molto alto e il lettore ne è sempre testimone.

L’arte della gioia è l’opera maggiore di un’artista inafferrabile. È tutto quello che ho provato qui a dire, infinite altre più brillanti riflessioni ma anche e soprattutto il racconto delle mirabolanti avventure di una ragazza dal cuore forte che attraversa goliarda il Novecento, la lettura perfetta per chiunque sentisse il richiamo di una pericolosissima sirena sicula che ama e combatte con la stessa intensità.

«Che avevo fatto? Avevo sprecato le mie ore? Non goduto abbastanza del sole e del mare? Solo in seguito, all’epoca d’oro dei cinquant’anni, epoca forte calunniata dai poeti e dall’anagrafe, solo in seguito sai quanta ricchezza c’è nelle oasi serene dell’essere con se stessi, soli. Ma questo viene dopo.»

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