Heimat, Nora Krug

Heimat (pronuncia:[ˈhaɪmat]) è un vocabolo tedesco che non ha un corrispettivo nella lingua italiana. Viene spesso tradotto con «Casa», «Piccola patria», o «Luogo natio» e indica il territorio in cui ci si sente a casa propria perché vi si è nati, vi si è trascorsa l’infanzia, o vi si parla la lingua degli affetti. (Wikipedia)

Heimat è quella sensazione di casa, con tutta l’immagine di calore e appartenenza che si porta appresso.
Heimat è quel posto del cuore che esiste in ogni luogo e in ogni tempo, e che risiede dentro di noi più che in un atlante geografico.
Heimat è anche la parola tedesca più utilizzata da chi non conosce il tedesco. Come me.
Heimat è, infine, il titolo della graphic novel che si farà leggere anche da chi, nei confronti delle graphic novel, è un po’ diffidente. Di nuovo, come me.

Nora Krug è una autrice tedesca originaria di Karlsruhe, trasferita negli Stati Uniti e sposata con un ebreo di Brooklyn. È una ragazza della mia generazione, una quasi quarantenne cresciuta nel silenzio della Germania post-nazista, da genitori che hanno preferito non chiedere alla propria famiglia dove fossero durante la guerra. Ricordo che una cosa simile me l’aveva raccontata anche un autore spagnolo, Eduard Marquez. Mi diceva che la sua generazione, che era giovane nell’epoca franchista, non aveva mai indagato sul credo politico dei genitori, per paura che qualcuno, nella guerra civile, avesse militato dalla parte «sbagliata». La stessa cosa è avvenuta anche in Germania, e solo ora, a distanza di un paio di generazioni, si stanno ponendo alcune inevitabili domande. Perché «Come fai a sapere chi sei, se non capisci da dove vieni?»

Nora Krug quindi torna nei luoghi dei nonni e interroga le persone che possono averli conosciuti, molto spesso figli e parenti di donne e uomini ormai scomparsi. Per scoprire che ragazzo fosse quello zio morto al fronte a 19 anni, di cui il padre porta lo stesso nome. Per sapere che ruolo avesse giocato il nonno materno al momento in cui gli ebrei venivano deportati dalla porta accanto. Per fare pace con quella vergogna che le fa nascondere il suo accento tedesco tra le strade di Brooklyn e arrossire ogni volta davanti ai parenti ebrei del marito.

Nora Krug insomma si spinge, attraverso illustrazioni, strisce e fotografie, nel profondo della vita familiare, mossa dal desiderio di ritrovare la verità e ricomporre i pezzi di un passato infranto e nascosto.
L’inchiesta prende avvio dall’incontro dell’autrice con una donna sopravvissuta ai campi di sterminio nazista, una donna ebrea tedesca che ora vive negli Stati Uniti. E da una serie di oggetti, che compongono Il diario di un’emigrata nostalgica, come è intitolata la rubrica che intervalla le indagini in Germania.

Il primo di questi oggetti è il cerotto Hansaplast: «Il cerotto più adesivo del pianeta e quando lo strappi per guardare la cicatrice, senti male».

È certamente un’indagine dolorosa, infatti, quella di Nora Krug, che porta in superficie le cicatrici ma ricompone una storia che, se guardata in faccia, può permettere al presente di far pace con il passato, e al futuro di procedere con passo più forte. È un libro che rimette insieme i pezzi di una storia frammentata. Che si muove infine come l’ultimo degli oggetti del diario dell’emigrata nostalgica. E come la Uhu, che è la colla più forte che esista, «non riesce a nascondere le crepe». Eppure, anche non condividendo l’arte e la pratica giapponese del kintsugi, che prevede di esaltare le cicatrici e le crepe presenti, senza occultarle, anche quest’opera, tutta tedesca, di ricucire con la Uhu dimostra di essere forse l’unica strada per curare l’anima di una donna, di una famiglia e di una nazione.

Heimat, Nora Krug, Einaudi (19€)

Miglior graphic novel 2018 per «The New York Times», «The Guardian» e «The Comics Beat».

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