In questi ultimi anni, tra le cose belle che ci sono capitate, c’è senza dubbio la fortuna di aver incontrato sulla nostra strada molte donne interessanti. Tutte diverse fra loro, ma sempre capaci – in un modo o nell’altro – di ispirarci, divertirci, farci pensare e mettere in circolo un’energia di cui siamo avide, che ogni giorno ci sprona ad andare avanti. Aurelie è una di queste.
Co-founder di (Y), brand di sex toys con sede a Milano, è senza dubbio una MUSA. Ci siamo incontrate più volte per chiacchierare di emancipazione e consapevolezza, di sesso, libertà e benessere, di cinema e letteratura; e siamo felici, oggi, di presentarla anche a voi. È un’imprenditrice capace e coraggiosa, una persona schietta – che si apre agli altri con schiva dolcezza – una donna che ha più di una passione e tante storie da raccontare. Ve ne accorgerete leggendo questa intervista.
Ciao Aurelie, sono felice di fare finalmente questa chiacchierata con te su MUSA! Per iniziare, vorresti presentarti alle lettrici?
Ciao! Sono Aurelie, ho 35 anni e, come suggeriscono sia il mio nome sia il mio accento (che ne non potete sentire), sono francese. Sono arrivata a Milano dall’Inghilterra alla fine del 2007 e lavoro come freelance da qualche anno. Sono anche un’insegnante di yoga certificata, quindi molto sensibile alle questioni del benessere in tutte le sue declinazioni.
Ci racconti come è nato il progetto (Y)?
Il progetto (Y) nasce da un pensiero: c’è ancora molto da fare per normalizzare la masturbazione femminile e sdoganare i sex toys, che troppo spesso vengono visti sotto la lente della perversione e della pornografia. Certo, nel mondo esistono realtà che promuovono il discorso del sex positive – ovvero che si approcciano alla sessualità con positività, consapevolezza, apertura mentale e pedagogia – ma in Italia sono pochissime. Per questo eravamo certi che creare una piattaforma come la nostra avesse senso.
Chi sono gli altri founder e le persone che fanno parte del team?
Une delle cose belle di (Y) è che siamo un team misto, ma decisamente femminista. Oltre a me ci sono Daniele e Riccardo, che hanno alle spalle tanti anni di esperienza tra consulenza e lavoro in aziende del settore luxury e dell’e-commerce, con expertise nei campi della comunicazione, del marketing, del retail e della logistica. Siamo molto complementari. Anche loro hanno vissuto in prima persona, insieme alle rispettive ragazze, difficoltà e insoddisfazioni legate all’esperienza d’acquisto di vibratori. Non tanto per quel che riguarda la disponibilità dei prodotti, quanto per l’aspetto poco invitante degli store, fisici o digitali, e per l’estetica, spesso poco invitante. Troppa volgarità, troppi colori sgargianti, poco stile, zero eleganza. Siamo sempre stati convinti di poter proporre strumenti potenti, senza trascurare l’aspetto estetico.
Qual è la filosofia – il manifesto, se vuoi – di (Y)?
Il punto di partenza del progetto è il desiderio di normalizzare il piacere femminile, e di chiudere il cosiddetto «pleasure gap»: il 65% delle donne raggiunge l’orgasmo durante un rapporto, contro il 95% degli uomini. Quello che può fare un sex toy in questo caso è permetterci di esplorare le dinamiche del piacere attraverso la masturbazione, e aiutarci a portare quel livello di consapevolezza anche a letto. Il nostro motto? «Making vaginas happier»!
Davvero nel 2020 secondo te parlare di piacere femminile è ancora, almeno in parte, tabù?
Credo che il piacere in sé non sia tabù – oggi si parla spesso e volentieri di orgasmo femminile e di clitoride –, ma esiste ancora un pregiudizio innegabile nei confronti della masturbazione al femminile. Quello che disturba è il fatto che una donna possa prendere in mano il proprio piacere e non dipendere più da nessun altro per raggiungere l’orgasmo, per avere una vita sessuale soddisfacente. Per come la vediamo noi il vibratore non è un sostituto di default, ma diventa lo strumento di emancipazione di cui ci siamo private per troppo tempo, per colpa di stigma e connotazioni. La figura della donna indipendente purtroppo continua a intimidire i sostenitori del sistema patriarcale. E noi, insieme a tutti quelli che s’impegnano per far evolvere lo status quo, crediamo in un modello post-patriarcale e al ruolo che il benessere sessuale può rivestire all’interno di questa vasta impresa.
… Che cos’è invece per te personalmente il piacere? Riesci a darci la tua definizione?
La ricerca del piacere secondo me guida le nostre vite. Anche se personalmente disprezzo chi si autodefinisce «edonista» soltanto per giustificare comportamenti individualisti e opportunistici, penso che oggi tutti cerchino di misurare la validità delle proprie esperienze quotidiane in base al livello di piacere che procurano. Basta pensare alle nuove modalità di lavoro e alla ricerca costante della bellezza. Il piacere sessuale è un motore potente, e se lo devo considerare dal mio punto di vista, è fortemente collegato al concetto di desiderio. Oltre all’aspetto meccanico, credo che il piacere femminile sia legato a una dimensione intellettuale e che si debba nutrire di tutta una serie di fantasie, pensieri, immagini, parole, suoni… Non basta stimolare il corpo, la mente è lo strumento più potente.
A questo proposito: ci consigli un film, un libro e una canzone che lo rappresentano?
Per il modo in cui vivo la mia sessualità, piacere e desiderio sono sempre stati strettamente legati e quindi qualche mia risposta istintiva potrebbe sembrare un controsenso per qualcuno. Le mie scelte mi rimandano al periodo dell’adolescenza, perché credo di aver costruito allora, almeno in parte, il mio immaginario sessuale.
Per quanto riguarda il film, ti direi The Virgin Suicides: ai tempi mi ha colpito molto per com’è rappresentato il potere della sessualità, in un contesto sociale che cercava di tacerlo; la Lux Lisbon rappresentata da Sofia Coppola è l’incarnazione della ricerca del piacere. Oggi che si parla molto di «male gaze» nel cinema, capisco ancor meglio perché lo sguardo di una regista donna sia risultato così potente.
La mia scelta del libro invece va in una direzione completamente opposta, in un certo senso. Perché nonostante il mio ideale femminile letterario siano le protagoniste dei romanzi di Sagan, una delle opere che più mi ha aiutato a capire cosa fosse il desiderio è stato Glamorama – che tra i lavori di Bret Easton Ellis non è nemmeno il più convincente. Una scena di sesso a tre in un hotel parigino è bastata ad aprirmi gli occhi sulla fluidità del concetto di orientamento sessuale. Il suo linguaggio abbastanza grafico a 14 anni mi è sembrato molto spinto ed eccitante allo stesso tempo. Difficile inoltre non citare classici come L’Amant di Duras, Le Diable au corps di Raymond Radiguet o A Sport and a Pastime di James Salter. Anche se alla luce della nuova consapevolezza femminista, credo ci sia molto da discutere e decostruire all’interno di quelle opere.
Una canzone? Per forza devo citare il repertorio di Gainsbourg, di cui l’erotismo era esplicito quanto elegante. Penso a moltissimi brani ma forse citerei Je t’aime… moi non plus.
Entriamo invece nel merito dei prodotti: sul sito ci sono cinque modelli diversi – ci parli brevemente delle loro caratteristiche? Come ci si orienta nella scelta?
Abbiamo deciso di lanciare il brand con pochi modelli, scelti per la loro complementarità; l’idea era di proporre qualcosa per ognuna, ma senza creare confusione per chi ancora non è del tutto familiare con i sex toys. Ogni modello, a cui abbiamo dato nomi di donna, ha una o più funzioni ben definite. Yulia è forse quello dalla forma più iconica, in quanto riprende il design del rabbit ma con linee più morbide; infatti piace tantissimo! Anche Yasmin riscontra tanto successo, perché è tanto intuitiva: ha una forma decisamente semplice, ma riesce a stimolare tanti punti chiave grazie al doppio motore. Yumi, modellata come una piccola foglia rosa, è molto travel-friendly, e io che mi sposto spesso la porto sempre dietro; è una compagna di viaggio stilosa, silenziosa e molto efficace per la stimolazione clitoridea. Poi abbiamo Yoko, con due piccole variazioni nel disegno, che si concentra principalmente sul cosiddetto punto G; così come Yoana. A me piacciono molto entrambe, anche per le forme insolite, che stimolano l’immaginazione.
Sul sito c’è anche una parte dedicata ai contenuti, in cui si parla di argomenti disparati: dall’orgasmo femminile al «pleasure gap», dal ciclo al «queefing». È difficile trovare il linguaggio giusto per parlare di questioni delicate, a volte anche imbarazzanti, come queste?
Quella del linguaggio è un’ottima osservazione, perché in generale nel campo del benessere sessuale è un tema centrale. Per quanto abbiamo costruito il progetto (Y) in reazione a un livello di volgarità nel quale non ci riconoscevamo, non ci piacciono gli eufemismi e l’assenza di concretezza nel linguaggio – che si traduce in una mancanza di trasparenza e, forse, di apertura mentale. Chiamiamo un clitoride «clitoride», e non «bottone magico», così come l’ano non è un «fiorellino». Trovo che quel lessico girly, applicato all’anatomia e al sesso sia abbastanza ridicolo e controproducente, se davvero vogliamo occupare lo spazio con una narrazione di sessualità femminile forte e indipendente.
Ci sono in arrivo novità, progetti per (Y)?
Il progetto sta continuando a crescere in modo organico, senza forzature, e sempre nell’ottica di costruire basi solide per impostare il contesto giusto, quello che davvero permetterà di liberare la parola sulle questioni di sessualità femminile e piacere. Stiamo per introdurre un nuovo prodotto che ci piace molto, in edizione limitata. Si tratta di un plug anale; lo abbiamo scelto in materiali che credo piacerebbero molto alle lettrici di MUSA: quarzo rosa e giada. Oltre a tutto quello che sappiamo sul potere delle pietre, sono anche una scelta perfetta in termini di sensazioni e di sicurezza. E poi come tutti i prodotti (Y) sono anche belli ed eleganti. Il piacere è la priorità, ma senza mai trascurare l’estetica.
C’è qualcosa che vorresti aggiungere e che non ti ho chiesto prima di salutarci?
Più che altro un’osservazione a valore aneddotico, che si ricollega bene alle tematiche centrali a MUSA: quando mi sono guardata allo specchio dopo il mio primo orgasmo ho capito quanto fosse stato geniale François Nars, nel creare il blush più cult al mondo.