Anche quest’anno, come ormai è consuetudine dal lontano 1932 (al netto di qualche battuta d’arresto), la fine di agosto e l’inizio di settembre non sono solo sinonimo di malinconia e back to school, ma anche (per fortuna) di glamour, grande cinema d’autore e scintillanti celebrità – nella cornice mozzafiato del Lido. Puntuale come la mail intasata il primo lunedì di ritorno dalle ferie, la Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica è iniziata mercoledì 28 agosto e si è conclusa lo scorso 7 settembre.
Dopo il Leone d’oro ad Almodovar con The Room Next Door (evviva Tilda Swinton, evviva Julianne Moore!), le reazioni entusiaste e la Coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile al thriller erotico Baby Girl con Nicole Kidman di Halina Reinn (dopo Bodies Bodies Bodies e tutto questo fermento, è la nuova regista da tenere d’occhio?), le ottime critiche a Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt e quelle più tiepide ad Angelina Jolie come Maria Callas nel biopic di Làrrain (Maria)… mentre aspettiamo di andare al cinema a vedere tutti questi film, per poterci sperticare in lodi o parlarne malissimo e per placare la fame di cinema, abbiamo deciso di riguardare alcuni dei nostri titoli preferiti di questi ultimi ottant’anni.
Celebriamo questi giorni di Cinema in Festa (ricordandovi che dal 15 al 19 settembre potete andare al cinema pagando solo 3,50€) con una selezione di opere che abbiamo amato e che troviamo ancora oggi straordinarie: 10 capolivari diretti con sguardo anticonformista e curioso e interpretate da attrici a dir poco immense.
• Un tram che si chiama Desiderio (A Street Car Named Desire), Elia Kazan (1951)
Leone d’argento per Elia Kazan, un Golden Globe, un Bafta, quattro Oscar (di cui uno a Vivien Leigh come attrice protagonista e uno a Kim Hunter come attrice non protagonista), e la Coppa Volpi a Vivien Leigh, Un tram che si chiama Desiderio è un’opera fondamentale per il cinema del XX secolo.
Quando Blanche DuBois, maestra d’inglese del Mississippi, si trasferisce a casa della sorella minore Stella – incinta e sposata con un uomo violento e ottuso –, l’equilibrio già precario della coppia si sfalda fino ad arrivare a un epilogo drammatico. Basato sulla piece di Tennessee Williams, il film (nonostante l’adattamento cinematografico abbia subito diversi tagli per evitare la censura), affronta tematiche dure e complesse per l’epoca.
Vivien Leigh, nel ruolo di Blanche DuBois, offre una delle interpretazioni più iconiche della storia del cinema (che le vale numerosi premi e la segna per gli anni a venire) e anche Brando, ai tempi ancora quasi sconosciuto, ottiene grandi plausi per il suo Stanley Kowalsky (ruolo che aveva già interpretato nell’adattamento teatrale a Broadway). Con una regia claustrofobia che oltre a ricalcare la messa in scena teatrale amplifica il dramma intimo dei personaggi, Kazan costruisce un film teso e struggente, indimenticabile.
• L’appartamento (The Apartment), Billy Wilder (1960)
Una delle commedie più amare e brillanti della storia del cinema: L’appartamento di Billy Wilder racconta la vita di C.C. Baxter, un modesto impiegato che cede il proprio appartamento ai suoi superiori per i loro incontri clandestini, con la promessa di ottenere un avanzamento di carriera.
Wilder, con il suo inconfondibile sguardo, riesce a bilanciare perfettamente umorismo e critica sociale, creando un ritratto caustico della vita aziendale e delle dinamiche di potere. La sceneggiatura è un capolavoro di scrittura, che alternata battute taglienti a momenti di intensa umanità. Jack Lemmon e in particolare Shirley MacLaine (coppa Volpi per la migliore interpretazione femminile) offrono delle performances eccezionali, portando sullo schermo personaggi complessi e sfaccettati.
• Storia d’amore, Francesco Maselli (1986)
Diretto da Francesco Maselli, il film racconta con delicata sensibilità la vita di Bruna, una donna che lotta per mantenere la propria indipendenza nella Roma proletaria. Interpretata magistralmente da una giovanissima Valeria Golino, la protagonista si trova coinvolta in un triangolo amoroso con due uomini, Sergio e Mario, in una relazione che mette in luce le difficoltà e le contraddizioni del suo desiderio di emancipazione.
Storia d’amore cattura, con una regia quasi documentaria, la cruda realtà della vita di Bruna e dei suoi amanti. Golino, premiata con la coppa Volpi per questa interpretazione di rara intensità (una delle prime della sua carriera), è un simbolo della condizione femminile e della lotta per l’autodeterminazione. È il ritratto intimo e realistico di una generazione che cerca disperatamente di superare le barriere sociali e culturali attraverso i sentimenti, ma che spesso si trova intrappolata nelle stesse dinamiche da cui cerca di sfuggire.
• Lanterne Rosse, Zhang Yimou (1992)
Leone d’argento a Zhang Yimou e David di Donatello per il miglior film straniero, Lanterne Rosse è un’opera visivamente ineccepibile e narrativamente totalizzante. Ambientato nella Cina degli anni ’20, il film racconta la storia di Songlian (una giovanissima e stupenda Gong Li), costretta a diventare la terza concubina di un ricco signore. Dietro l’opulenza visiva della pellicola, si cela un universo chiuso e soffocante, dove le protagoniste sono intrappolate in un sistema crudele e dove ogni lanterna accesa è sia simbolo di attenzione e privilegio, ma anche di rivalità e disillusione.
Li offre una performance di grand impatto, capace di trasmettere l’angoscia e la rassegnazione di una donna prigioniera in una società oppressiva e patriarcale. La fotografia, curata nei minimi dettagli, non è solo esteticamente impeccabile, ma profondamente simbolica, rendendo il film un’opera che colpisce per la sua bellezza glaciale e la sua spietata analisi della condizione femminile di quel periodo.
• Creature del cielo (Heavenly Creatures), Peter Jackson (1994)
Basato su un fatto di cronaca, e realizzato soprattutto grazie all’entusiasmo per la storia della sceneggiatrice Fran Walsh, Creature del Cielo rappresenta per Jackson un significativo cambiamento di toni e temi, segnando per lui il passaggio ad un cinema più autoriale.
Il film esplora l’ossessiva amicizia tra Juliet Hulme (una magnifica Kate Winslet) e Pauline Parker (Melanie Lynskey al suo debutto cinematografico) nella Nuova Zelanda degli anni ’50. Jackson e Walsh trasformano questa vicenda oscura in un’esperienza cinematografica inquietante, dove la realtà e la fantasia s’intrecciano indissolubilmente. Una regia dinamica e una fotografia minuziosa tessono un’atmosfera onirica, quasi claustrofobica, che riflette il tumulto interiore delle protagoniste, intrappolate in una spirale di emozioni che sfocia nel crimine.
Leone D’Argento per Peter Jackson e candidatura all’Oscar per la miglior sceneggiatura originale, Creature del Cielo è capace di scavare nelle profondità dell’animo umano con un tocco delicato ma implacabile.
• The Burning Plain – Il confine della solitudine, Guillermo Arriaga (2008)
Dramma inteso e architettonicamente complesso diretto da Guillermo Arriaga, come alcuni dei precedenti del regista/sceneggiatore, intreccia con maestria diverse linee temporali per esplorare le ferite profonde che segnano la vita delle sue protagoniste.
Con un cast femminile di grandissimo rilievo, Il confine della solitudine racconta le storie Sylvia (Charlize Theron), una donna apparentemente sicura di sé ma segnata da un passato di traumi e comportamenti autodistruttivi, e di Gina (Kim Basinger) e Mariana (interpretata dalla giovane Jennifer Lawrence che per questo ruolo viene premiata a Venezia con il Marcello Mastroianni Award come attrice emergente) madre e figlia in costante conflitto.
Con una narrazione frammentata, ma controllatissima e una regia limpida, il film svela lentamente le connessioni tra passato e presente, rivelando come il dolore e il senso di colpa possano essere superati solo attraverso l’amore e la redenzione.
• Donne senza uomini, Shirin Neshat (2009)
Meditazione poetica sulla condizione femminile e potente denuncia politica, Donne senza Uomini (il trailer è visibile solo direttamente su YouTube) è ambientato nell’Iran del 1953, durante il colpo di stato che rovesciò il governo eletto.
Seguendo le vicende di quattro donne che in modi diversi lottano contro le oppressioni personali e sociali, il film, con un linguaggio visivo ricco di simbolismi (che arriva dall’esperienza di Neshat come videoartista) offre uno sguardo penetrante sulla prevaricazione e i tentativi di resistervi.
Leone d’argento per la migliore regia a Shirin Neshat, artista regista e fotografa, è un film coraggioso e anticonformista, profondamente simbolico ed inequivocabilmente dalla parte delle donne.
• La Favorita (The Favourite), Yorgos Lanthimos (2018)
Ambientata nel diciottesimo secolo, alla corte della Regina Anna, La Favorita di Lanthimos è un’indagine sfrenata e caustica sul potere, sulla corruzione e l’arrivismo.
Leone d’argento per la regia, dieci candidature all’Oscar, un cast incredibile (Emma Stone, Rachel Weisz, Nicolas Hoult) guidato da Oliva Coleman in una delle performance più intense ed esilaranti della sua carriera (che infatti, per questa interpretazione ha vinto la Coppa Volpi, un premio Oscar, un Golden Globe e un Bafta), è un film che ha molto da dire sulla storia, la guerra, la politica, il genere e il cuore umano.
Con la sua caratteristica visione del mondo, bislacca, barocca e vibrante e le sue scelte registiche anticonformiste, Lanthimos realizza un film farsesco eppure incredibilmente serio che si muove fluidamente tra il grottesco e il tragico, diabolico, entusiasmante e argutissimo.
• Il potere del cane (The powwer of the dog), Jane Campion (2021)
Western atipico e allo stesso tempo incredibilmente classico nei suoi paesaggi e nelle sue strutture, Il poter del cane, è un’analisi degli archetipi della mascolinità e una storia di rivalsa. Supportato dalla regia di Campion che sfrutta magistralmente l’ambiente naturale come cassa di risonanza per i sentimenti che attraversano i suoi personaggi e da delle prove attoriali stupefacenti (Benedict Cumberbatch che, funambolo, cammina in un territorio tra la violenza e la vulnerabilità, Kristen Dunst che da vita ad una donna candida ma terribilmente ostinata), è un’opera coraggiosa e selvaggia.
Secondo Oscar alla regia per Campion, Leone d’argento a Venezia e tre vittorie ai Golden Globes, come altri lungometraggi della regista neozelandese, è un film difficile da dimenticare.
• Saint Omer, Alice Diop (2022)
Diretto da Alice Diop, regista francese al suo primo lungometraggio, Saint Omer segue – attraverso gli occhi di Rama – una scrittrice in cerca d’ispirazione per il suo prossimo libro e il processo di Laurence Coly, una giovane donna accusata di aver ucciso la sua figlia neonata.
Con una narrazione minimalista che arriva dalla lunga esperienza documentaristica, Diop si concentra sui silenzi, su performances volutamente contenute, sulle occhiate fugaci per raccontare una storia di madri e figlie, di amore materno, allontamento e risentimento.
Gradualmente il film svela i suoi temi più profondi, obbligando lo spettatore a confrontarsi con questioni di cultura e classe, razzismo e misoginia, mostrandogli senza abbellimenti la costante lotta delle donne nere per essere viste nelle relazioni, nelle famiglie, nei paesi, nei tribunali.