Non solo MUSE: Rotraut e Yves Klein

«Il blu mi dà la sensazione di fluttuare nello spazio. Io svanisco nel blu, mi attrae; dimentico la cornice e la dimensione, semplicemente mi perdo in esso e nell’Universo. È incredibile come un semplice colore possa avere tanto carattere, essere tangibile nella materia e nello spazio e contemporaneamente essere una grande finestra sull’infinito.» – Rotraut

Queste parole di Rotraut Klein-Moquay, nata Uecker, danno l’idea di quanto il primo incontro con il monocromo blu dell’artista Yves Klein sia stato per lei un tuffo introspettivo. Rotraut realizzò in un istante che qualcun altro intravedeva il suo abisso, e comprese quello di lui. Proprio per questo, Yves Klein – esponente del Nouveau Réalisme, filosofo del Vuoto, pittore dell’Immateriale e precursore della body art –, trovò in lei la compagna, la modella, la musa, l’amica, l’assistente fidata, la prima sostenitrice e consigliera.

La storia di Rotraut, donna e artista, e della sua unione con Yves Klein, viene ancor oggi da lei raccontata come «un disegno del destino, di forze fortunate – incomprensibili, ma da entrambi condivise», che a me è parsa cucita insieme da un filo blu, immensa quanto i cieli dei quali Yves si era proclamato, per gioco, il re.

Rotraut nasce nel 1938 in Germania, e fin da adolescente si diletta nella pittura. Ha un animo gentile e grandi occhi pieni di sogni non ancora ben definiti, che condivide con il fratello Gunther, anche lui aspirante artista.

Quando l’arrivo dell’esercito sovietico costringe la sua famiglia a rifugiarsi in un piccolo villaggio, nei pressi di Amburgo, Gunther decide di partire per Düsseldorf e di dedicarsi alle Belle Arti, mentre la giovane Rotraut è costretta a restare ad aiutare il padre, lavorando nei campi: un impiego quotidiano molto duro, che alimenta il suo desiderio di una vita diversa, «quella dell’artista».

A diciannove anni scappa di casa – Rotraut non darà più notizie di sé alla famiglia per oltre un decennio! – e raggiunge suo fratello a Düsseldorf, dove inizia l’attività di artista, nel ‘57. 
È qui che, in una vetrina della Galleria Schmela, avviene il fatidico primo incontro con un monocromo blu di Yves, che la colpisce profondamente. Si sente capita da quel blu profondo e brillante, ne è ipnotizzata. Il quadro risveglia in lei un sentimento profondo e un senso di spirituale appartenenza.

Gunther è preoccupato per la crescita repentina della sorella e in quello stesso anno, grazie alle sue frequentazioni, le procura un lavoro come au-pair presso la famiglia dell’allora sconosciuto pittore e scultore francese Armand Pierre Fernandez – noto come  Arman –, a Nizza. In Francia, Rotraut conduce finalmente la vita che sognava: ha una splendida camera con vista, dove nel tempo libero può anche dipingere, incoraggiata dall’atmosfera artistica della famiglia di Arman.

Un giorno, Rotraut è sola in casa. Suonano alla porta e lei si ritrova di fronte un giovane Yves Klein, nemmeno trentenne, con l’aria spavalda e un monocromo rosso sottobraccio, da mostrare all’amico Arman. Vedendo il quadro, Rotraut riconosce lo stile. È emozionata e vorrebbe spiegargli cosa prova, ma purtroppo non parla ancora bene il francese. Non si aspettava che l’autore di un quadro tanto importante per lei fosse un uomo così giovane, dal fascino «intenso, come la luce del sole».

L’incontro è folgorante. Rotraut ha una bellezza limpida e malinconica e nutre per lui sincera ammirazione.

Il giorno dopo, Arman organizza una cena in casa sua e quella sera stessa Yves la invita nel suo studio. Da quel momento i loro oceani emotivi si mescolano in un indissolubile blu.

I due si trasferiscono subito insieme a Parigi, presso il famoso numero 14 di rue Campagne-Première, dove si riunisce il collettivo ZERO (di cui fa parte anche Gunther) – e dove nasceranno le idee per la Dichiarazione Costitutiva del Nouveau Réalisme.

Rotraut e Yves Klein

Rotraut è un’artista attiva. Le vengono commissionati lavori per Laboratoire 32 e partecipa a diverse mostre, alla New Visions Center di Londra, nel 1959, e al Festival dell’Avant-Garde a Parigi. Con First one woman show ottiene un buon successo di critica e pubblico. Parallelamente lavora con Yves, in qualità di sua assistente, e contribuisce alla creazione delle monumentali decorazioni per il teatro di Gelsenkirchen e dei Bas-reliefs dans une forêt d’éponges. Tra le altre cose, cura lei stessa il reportage fotografico delle Cosmogonies.

«Yves Klein le Monochrome – Il Nuovo realismo del colore», la personale dell’artista che viene allestita a Milano e a New York nel 1961, consente loro di mantenersi esclusivamente con l’arte.

Rotraut sfodera sempre il suo umorismo e con tagliente savoir-faire non manca di rispondere a chi pronuncia commenti sprezzanti su Yves (lo chiamavano «Le Monochrome» per banalizzare il suo stile), o sul suo lavoro («il solito blu», «sempre il blu», le «solite cose blu»). Con un certo scetticismo, che tuttora permane, molti insinuavano che i lavori di Yves fossero «truffe per ricchi», «arte per chi non sa fare arte».

Eppure i monocromi non erano seriali, non si trattava di un lavoro meccanico: per ciascuno di loro l’artista si dedicava a una lunga ricerca spirituale, dava vita a una manifestazione spaziale dell’immateriale, a una visione cosmica, immaginifica e mistica – che Rotraut condivideva – riuscendo a tradurla con dolcezza, in un linguaggio comprensibile a tutti.

Al 14 di rue Campagne-Première, tutte le opere erano come figli per lei e Yves: la loro vera e intima famiglia, per la quale avrebbero sacrificato tutto. La vivace dialettica di Rotraut, la sua curiosità e passione, la rendono la compagna ideale per Yves – judoka scatenato, visionario figlio d’arte.

Ma questo idillio è costellato da buchi neri: l’ossessione di Yves per il Vuoto, per la raffigurazione dell’immateriale e il sentimento di fine incombente che lo perseguita, si affacciano spesso nelle conversazioni intime con Rotraut. Lei è forse l’unica a conoscerlo davvero lontano dai riflettori, dai suoi discorsi senza tempo e dai grandiosi progetti che condivideva con gli altri artisti. Per fuggire da questi sentimenti bui, Yves sperimenta di continuo: esegue «Registrazioni di pioggia», salta dalle finestre per farsi fotografare in volo, dipinge con le fiamme e con i corpi.

Rotraut collabora alla realizzazione della serie Anthropométrie: l’impronta blu del suo corpo su una tela è come un’istantanea della sua anima – l’unione tangibile tra corpo e spirito.
 La loro vita trascorre in un microcosmo d’incessante produzione artistica, dove regnano la profonda complementarietà e la coappartenenza.

Dopo mesi di viaggi insieme, Yves e Rotraut decidono di sposarsi. È il 21 gennaio del 1962. 
La cerimonia nuziale è essa stessa una sfarzosa performance: lui è il re del blu, in uniforme da Cavaliere dell’ordine di San Sebastian, lei la sua regina, in bianco, con una coroncina antica dipinta con l’International Klein Blue – la sua celebre sfumatura di blu. Gli ospiti sorseggiano cocktail blu a base di gin, cointreau e metilene, e nella sala bianca risuona la «Sinfonia Mononota» composta da Yves stesso (anche utilizzata durante le performance di Anthropometrie). Rotraut è incinta.



Il 6 giugno dello stesso anno, Yves muore.


Dopo giorni di intense sessioni di lavoro, agitato e deluso per la produzione del docufilm «Mondo cane», è stremato: viene colto da tre infarti. Quello fatale, avviene sotto gli occhi di Rotraut che, nell’attimo in cui accade, racconta di sentirsi «levitare». Il mondo sparisce sotto ai suoi piedi e il letto si solleva accanto a lei. Nulla esiste più. Anche il blu scompare.

Il pensiero di raggiungerlo è fin da subito terribilmente seducente – ma, fortunatamente, la creatura che porta in grembo da sette mesi la tiene ormeggiata alla vita. Il giorno del funerale, tutti sono pervasi dalla sensazione che Yves stia inscenando la sua morte, una performance lugubre, con sorpresa. Ma purtroppo non è così.

Rotraut non si arrende e convoglia il suo dolore, assieme agli altri artisti del collettivo, in performance estemporanee che portano a termine il pensiero di Yves, per non lasciarlo svanire nel nulla del lutto. Sarà sempre lei – tra le altre cose – e creare l’archivio numerato delle opere senza nome di Yves.

Tre mesi dopo nasce il loro figlio, battezzato Yves come il padre, e futuro artista.

Nel 1968, la lenta ripresa: Rotraut sposa Daniel Moquay, un giovane comico, e investe tutto nella sua carriera d’artista, per rialzarsi con le proprie forze. 
Espone in Europa, negli Stati Uniti e in Giappone. Quando lavora nello studio di Parigi, lascia lo spazio centrale libero, come se Yves fosse ancora lì a creare, per non non turbarne il ricordo.
 Dalla pittura spaziale, colorata, a tinte soffuse o monocroma, negli anni Novanta passa alla scultura astratta e monumentale, in forma minimalista. È attiva fino al 2011 ed espone le sue opere per l’ultima volta nel 2018.

Rotraut, Lune (1963)

Ciò che non smette mai di appassionarla è parlare di Yves: in un’intervista, proprio del 2018, Rotraut racconta come le capiti spesso d’imbattersi in oggetti blu fuori contesto (cartacce blu per strada, un fiore solitario, addirittura un cuore blu di plastica), e racconta come per lei siano messaggi di Yves, che raccoglie e conserva. Infinite testimonianze di quest’unione, dipinta in blu.

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