Non solo muse: Joséphine Baker

La nostra musa di oggi è stata la prima, incredibile star afroamericana di fama mondiale: Josephine Baker. Non abbiamo scelto di raccontarvi questa storia meravigliosa soltanto per via del suo straordinario talento, ma anche perché Josephine per tutta la vita si è fatta portavoce di un messaggio grandioso e altruista – portando avanti un’ostinata ricerca della felicità sempre aperta agli altri, condivisa e gentile.

Josephine Baker

Freda Josephine McDonald nasce il 3 giugno del 1906 in Missouri. La madre, Carrie McDonald – ex ballerina ormai disillusa – fatica come lavandaia, mentre il padre, Eddie Carson, è un batterista vaudeville, che le abbandonerà. La sua unica eredità per la figlia sarà la passione per la musica. Dopo il secondo (sempre sfortunato) matrimonio di Carrie, la famiglia cresce e Jo – ancora bambina – è costretta a darsi da fare. Inizia così a prestare servizio come domestica e bambinaia per ricche famiglie bianche della zona. Oltre a un enorme carico di responsabilità, la piccola deve fare i conti anche con una serie di terribili divieti, percosse e punizioni. E soprattutto con la povertà. Non di rado viene vista rovistare fuori dai mercati in cerca di cibo da portare a casa. Questa sua difficile infanzia sarà determinante: contribuirà infatti a forgiare il carattere indipendente e fiero con cui incanterà il mondo.

Si sposa per la prima volta a tredici anni, con il cliente di un locale dove serve ai tavoli, ma dopo pochi mesi interrompe la relazione e – contro il volere della madre – decide d’inseguire la sua passione per lo spettacolo. Prima assedia il direttore del coro di St. Louis per ottenere un provino, poi parte per un tour negli Stati Uniti con la Jones Family Band and The Dixie Steppers. Jo vorrebbe fare la corista, ma le riservano soltanto di fare qualche sketch comico, anche di genere blackface, considerato più appropriato al suo aspetto «meticcio». Dietro le quinte però, mentre dà una mano alla costumista, impara tutte le battute e i numeri, si tiene pronta… E quando una delle ballerine lascia il palco, arriva la sua occasione. Finalmente si esibisce con verve straordinaria: nessuna prima d’ora ha mai ballato come lei! Il pubblico l’adora, non ha mai visto nulla del genere, e Josephine diventa la principale attrattiva dello show: in scena per il resto del tour, da New Orleans a Broadway.

Al ritmo di sfrenati balli esotici ed erotici, approda a Parigi, un ambiente che più le si addice, lontano dagli sguardi di disapprovazione della madre. Qui il colore della sua pelle non è un limite, bensì un plus: illuminata dalle luci della Tour Eiffel, al ritmo della sua Danse Sauvage, trova fortuna. Sulle spalle di un ragazzo nero, coperta da una sola piuma rosa tra le cosce, esordisce come punta di diamante de La Revue nègre: lo spettacolo che ha fatto da apripista alla diffusione del jazz e della cultura nera in Europa.

Josephine esplode come un fuoco d’artificio a Les Folies Bergeres nel 1927, in uno scatenato e sconosciuto charleston, indossando un intricato reggiseno gioiello e un gonnellino composto da sedici preziose banane, si dice ideato dal surrealista Jean Cocteau. È un trionfo, una consacrazione! «È la musica che sembra riversarsi dal suo corpo», scrive il critico Pierre de Régnier.

La critica è strabiliata, loda le sue movenze estreme, la sinuosità serpentina, le spaccate e le giravolte: il suo corpo che è come un strumento e il suo sorriso, a detta di Picasso, «spegne tutti gli altri».

Josephine diventa una delle performer più richieste e ammirate, nonché una delle donne più fotografate e ambite al mondo. In questo senso è anche una dei maggiori esponenti del cosiddetto Rinascimento di Harlem fuori dagli Stati Uniti, contribuendo a diffondere una nuova visione della cultura nera in Europa.

Riesce col tempo a discostarsi dallo stereotipo razziale feticizzato della «nera selvaggia» – romanticizzato dai francesi e disprezzato dagli americani – tipico della visione postcolonialista di La Revue nègre. No: lei rappresenta una donna nuova, emancipata, che si mostra in tutta la sua sensualità, perché decide di mostrarsi e di abbandonarsi. Di vivere senza limitazioni.

Gli artisti fanno a gara per avvicinarla e renderle omaggio: si parla di oltre milletrecento proposte di matrimonio. Pirandello è tra i primi ad alzarsi in piedi per applaudirla, il magnate Citroen perservera nel chiederle la mano, Le Corbusier scrive di lei come un fanciullo innamorato. Nei dopo spettacolo s’intrattiene con Hemingway, raccontandogli i suoi tormenti amorosi davanti a fiumi di champagne. È stato lui a definirla «La donna più sensazionale che il mondo abbia mai visto, e che mai vedrà».

Dopo una breve e sfortunata parentesi artistica neglil Stati Uniti, rientra in Francia e sposa Jean Lion. Ma la guerra è alle porte e suo marito è ebreo. Nel 1937 diventa una spia e, grazie alla sua celebrità, riesce a carpire segreti come nessun altro sarebbe in grado di fare: annota le informazioni tra i pentagrammi dei suoi spartiti, scrive bigliettini con un inchiostro invisibile per poi pinzarli alla lingerie che indossa. Riesce sempre a sfuggire ai controlli, è instancabile e coraggiosa.

Scompare dalle scene per qualche anno e riappare quando torna la pace: al petto ha appuntata la Croix de Guerre, e al braccio un nuovo marito, il direttore d’orchestra Jo Bouillon. È pronta per dedicarsi alla sua ultima battaglia: quella per i diritti umani, contro il razzismo, la schiavitù e le discriminazioni. Diserterà gli spettacoli nei locali che non permettono l’ingresso ai neri, combatterà al fianco di Martin Luther King, adotterà dodici bambini da tutto il mondo e – nonostante le difficoltà economiche che incontrerà nell’ultimo periodo della sua vita – non si arrenderà mai:

«Verrà certamente il giorno in cui il colore della pelle non significherà altro che un colore della pelle, in cui la religione verrà vista unicamente come un modo per esprimere la propria anima; i luoghi di nascita avranno il peso di un tiro di dado, e tutti gli uomini nasceranno liberi».

Le sue enormi difficoltà finanziarie si risolvono negli anni ‘70, dopo l’intervento di Brigitte Bardot prima e della principessa Grace di Monaco poi, che l’aiutano con il denaro e alcuni ingaggi nel Principato.

Il 12 aprile del 1975, dopo un emozionante show per celebrare il cinquantesimo anno della sua carriera sul palco, si spegne per embolia cerebrale. Viene seppellita nel Principato, con una cerimonia solenne e tutte le onorificenze, davanti a una folla immensa di amici e migliaia di fan.

Il 20 maggio le viene dedicata una stella nella Walk of Fame, la band Imani Winds le dedica un album, e non basterebbero altri mille articoli per annotare i riconoscimenti, i meriti e i ringraziamenti dovuti a questa donna immensa.

Nel 2011 a La Courneuve (un sobborgo di Parigi) su progetto dell’architetto Dominique Coulon viene realizzata la scuola materna ed elementare «Josephine Baker», che sorge sulle rovine di un blocco di appartamenti degradati, abbattuti nel 2004.

Bibliografia

  • Joséphine Baker – enciclopediadelledonne.it
  • Emmanuel BONINI, Joséphine Baker. Cent images pour une légende, Périgueux, La Lauze, 2001
  • Alexandre SUMPF, «Joséphine Baker et la Revue Nègre», Histoire par l’image
  • Judith Mackrell, Flappers: Six Women of a Dangerous Generation, Pan; Unabridged edizione, 2014
  • Rappresentazione del corpo e della razza – Michigan Feminist Studies: Alicja Sowinska, Dialectics of the Banana Skirt: The Ambiguities of Josephine Baker’s Self-Representation, vol. 19, Fall 2005-Spring 2006

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