sabato, 31.05.2025
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La «prevenzione» in medicina estetica: ha senso parlarne?


Scusate se sono tranchant, ma c’è una risposta breve a questa domanda, per chi è di fretta e non ha voglia di leggere oltre: no, non ha senso.

Archiviato questo inizio un po’ clickbait, anche se tecnicamente avevate già cliccato, forse può essere utile argomentare questa opinione, che è la mia personale e spero possa diventare anche quella di qualcun altrə, principalmente tra chi fa il mio stesso lavoro.

Partiamo da una cosa importante: il senso delle parole.

I TERMINI IN MEDICINA HANNO UN SIGNIFICATO PRECISO E «PREVENZIONE» NON È DA MENO.

Si parla di prevenzione per indicare l’insieme delle misure utili a evitare la comparsa, la diffusione e la progressione delle malattie o il determinarsi di danni irreversibili quando la patologia è in atto (prevenzione primaria, secondaria, terziaria). La prevenzione ha quindi un ruolo socio-sanitario fondamentale e quando a parlarne è una persona con una laurea in medicina è questo l’unico significato che questa parola può e deve avere.

Negli ultimi anni, invece, la medicina estetica ha trovato un nuovo modo per raccontarsi: si è data un tono clinico. Sempre di più si parla di prevenzione dell’invecchiamento, prevenzione della comparsa delle rughe, prevenzione della perdita di volumi, ma questi sono normali processi fisiologici e non esiste indicazione clinica che questi fenomeni debbano essere in qualche modo prevenuti. Forse un tentativo, più o meno inconscio, di rendere accettabile un desiderio estetico, travestendolo da necessità medica? Forse un vantaggio commerciale nel conferire autorevolezza clinica e biologica a un’iniezione di tossina botulinica o a un qualsiasi altro trattamento medico-estetico?

Un po’ di entrambe, quindi vale la pena mettere qui uno statement in maniera esplicita: LA MEDICINA ESTETICA NON CURA UNA PATOLOGIA, non ha indicazioni assolute, ma risponde a un desiderio personale, traducendolo, dove possibile, in soluzioni tecniche.

Il ruolo dellə specialista è quindi decodificare l’aspettativa della persona che richiede il suo aiuto e, dove questa è realizzabile, trovare un percorso adatto al raggiungimento dell’obiettivo.

Parlare di indicazioni cliniche rischia di spostare questo desiderio sul piano della necessità, alimentando l’idea che ci sia qualcosa di sbagliato da correggere, all’interno di un sistema in cui la medicina estetica viene prescritta, come se fosse una pastiglia per l’ipertensione. L’idea di prevenzione è diventata una giustificazione, come se dire «lo faccio per prevenzione» servisse a nobilitare il desiderio estetico, considerato altrimenti frivolo, rendendolo accettabile.

Il problema, però, sta proprio lì: si perpetua il pregiudizio che interessarsi al proprio aspetto sia una cosa da giustificare, così da fare un trattamento perché «serve» e non perché si abbia voglia di farlo, perdendo di fatto il contatto con l’autenticità della volontà iniziale, che deve essere invece la certezza più forte da cui partire.

Paradossalmente questo approccio «preventivo» depotenzia la libertà del paziente, rinforza la medicalizzazione dell’apparire e contribuisce a creare un’estetica che diventa in qualche modo algoritmica, fornendo scuse o coperture etiche ed emotive ad un’espressione personale che non sembra altrimenti avere una sua dignità.

QUELLI CHE OGGI VENGONO DESCRITTI COME PREVENTIVI SONO, IN REALTÀ TRATTAMENTI A TUTTI GLI EFFETTI. Possono essere più o meno precoci, ma mirano sempre a ottenere un risultato e questo risultato è nella maggior parte dei casi prettamente estetico (una ruga in meno, un po’ di compattezza in più) e risponde a un’esigenza estetica (voglio una ruga in meno, voglio un po’ di compattezza in più) altrimenti come potremmo definire qual è il momento ideale per iniziare a fare prevenzione?

Non c’è un momento ideale per iniziare a non fumare o a proteggersi dai raggi UV (entrambi esempi reali di cosa voglia dire prevenzione) e se la medicina estetica fosse preventiva andrebbe incentivata nella stessa maniera, con gli incontri nelle scuole superiori a promuovere campagne di botox per la prevenzione delle rughe.

Allora forse, se proprio dobbiamo parlare di prevenzione in medicina estetica vale la pena ragionare sulla prevenzione quaternaria, cioè proteggere le persone dall’eccesso di medicalizzazione, e su come questa si possa applicare in quest’ambito, considerando per quante persone l’approccio preventivo sia risultato accattivante, accelerando (se non addirittura forzando) il loro incontro con questa branca e quanto spesso, dietro questa tendenza, si nasconda solo l’anticipo di qualcosa che poteva aspettare.

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