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/ Arte & Cultura

10 libri per risvegliare la creatura magica che vive dentro di te

C’è una parte di noi che vuole essere vista, anche se tremiamo all’idea che venga scoperta. Una creatura che respira sotto la pelle: affamata, passionale, fatta di rabbia, di paure, di desiderio. In un tempo in cui la femminilità può essere a volte contenuta o edulcorata, questi libri ci invitano alla rottura, alla trasformazione. Non solo storie di streghe o presenze disturbanti: per affermare che essere donna può significare anche cambiare pelle, abbracciare l’ombra, strappare il velo. Qui di seguito trovate dieci volumi, tra raccolte di racconti, romanzi e non fiction, scritti da autrici che esplorano l’oscuro, il grottesco, il gotico al femminile – e c’invitano a riconoscere e celebrare la creatura magica e mostruosa che vive dentro ognuna di noi.

Selezionato tra i migliori libri del 2019 da The Guardian, Vanity Fair ed Esquire Magazine, Mantide è una raccolta che si muove tra distopia, fantascienza, atmosfere gotiche e miti classici. Un’adolescente scopre che il suo corpo è attraversato da un cambiamento molto diverso da quello delle sue coetanee; una donna delusa dai suoi precedenti fidanzati colleziona pezzi di altri uomini come una novella dottoressa Frankenstein; una coppia va alla deriva – letteralmente e figurativamente. Con una lingua nitida e incalzante, Armfield immagina mondi altri e storie al confine tra il sogno e l’incubo. Impossibili da dimenticare.

Outsider nel prestigioso programma di scrittura creativa della sua università, Samantha viene improvvisamente accettata dal gruppetto di compagne ricche e popolari che, tra abiti color pastello e continue effusioni (una di queste, il nomignolo Bunny con cui si chiamo tra loro), trasformano l’amicizia in qualcosa di terrificante e assolutamente inaspettato. Awad – scrittrice canadese finalista al Women’s Prize for Fiction con il suo romanzo precedente 13 Ways of Looking at a Fat Girl – combina magistralmente i toni della commedia, della fiaba oscura e dello psicodramma accademico, grazie anche a una lingua intelligente e sperimentale. Il romanzo gioca con il tema del doppio, dell’identità e della pressione creativa, trasformando la vita universitaria in un orrore glitterato e femminile, perfido quanto irresistibile.

Classico intramontabile della letteratura nera, La Camera di Sangue è una raccolta di racconti conturbante e licenziosa dove Carter re-immagina le favole della tradizione esplorandone le ombre e le ossessioni: da Barbablù a Cappuccetto Rosso passando per La Bella e La Bestia e altri oscuri racconti di lupi e vampiri.  È un’esplorazione anticonvenzionale della femminilità, dove i ruoli tradizionali vengono invertiti o sconvolti e una lucida riflessione su tematiche come vecchiaia, matrimonio e relazioni analizzate in relazione al femminile. Consigliato anche l’adattamento cinematografico: In Compagnia dei Lupi di Neil Jordan, con Angela Lansbury e Stephen Rea – un cult dimenticato degli anni Ottanta.

Pubblicata originariamente nel 2017, la raccolta di Bora Chung è arrivata finalista all’International Booker Prize 2022, portando per la prima volta l’autrice coreana, ricercatrice in studi slavi e traduttrice, all’attenzione internazionale. Le sue storie oscillano tra horror, fantascienza e folclore, con una precisione chirurgica nel raccontare le ansie contemporanee. Chung costruisce un immaginario inquieto dove il grottesco diventa allegoria sociale, e il fantastico non serve a fuggire dalla realtà ma a metterla a nudo. Il risultato è una lettura disturbante e ipnotica accompagnata da una lingua affilata e incalzante che non lascia tregua.

In questo saggio, Doyle compone una vera enciclopedia del femminile demonizzato. Attraverso miti antichi, storia, film horror e cultura pop, l’autrice traccia la genealogia della paura patriarcale verso le donne che trasgrediscono i ruoli imposti. Il saggio è feroce ma anche liberatorio, perché restituisce alle «figure mostruose» la loro dimensione di potere e forza. Doyle non si limita a decostruire: rivendica l’orrore anche come forza creatrice. Un libro che invita a guardare negli occhi la parte che abbiamo nascosto, forse – o che ci è stata nascosta –, e a riconoscerla. 

Tradotto in oltre quindici lingue, Le cose che abbiamo perso nel fuoco ha consacrato Mariana Enriquez, giornalista e scrittrice argentina, come una delle voci più incisive dell’horror contemporaneo. In questi dodici racconti, Enriquez tratteggia una Buenos Aires nerissima, popolata da presenze inquietanti e desideri inconfessabili, mescolando cronaca nera, disuguaglianza sociale e superstizioni urbane. Con uno stile «di una freddezza suggestiva» (El País) e uno humour nero tagliente, l’autrice scava nell’inconscio femminile e nelle sue ferite, catturando chi legge in una morsa da cui è difficile liberarsi.

Ambientato in Messico negli anni Cinquanta, il romanzo segue Noemí Taboada – giovane ereditiera chiamata a indagare sulle sorti della cugina Catalina, sposata al rampollo di una famiglia inglese in declino. L’autrice canadese-messicana Silvia Moreno-Garcia intreccia gotico classico, critica coloniale e body horror. Paragonato a Rebecca, capolavoro di Daphne Du Maurier, con atmosfere che ricordano la filmografia di Guillermo del Toro, Mexican Gothic mischia clichés del manor inglese infestato e folklore messicano. Sotto la trama avvincente e ritmata, l’indagine puntuale sulla femminilità, sull’eredità, sul sangue e sugli spazi in cui le donne esistono e resistono.

Sullo sfondo di una Londra vivace, negli anni Sessanta, Harriet incontra David. I due si scoprono simili nei loro desideri e decidono di sposarsi e avere una famiglia. L’idillio si rompe con l’arrivo del quinto figlio, Ben: un bambino bisognoso e difficile, diverso dalle creature angeliche arrivate prima di lui. Costruendo una storia familiare come un thriller, Lessing utilizza la metafora del «mostro» per interrogare le aspettative sulla maternità, il sensodi colpa, la norma e il rifiuto sociale. Allegoria della disintegrazione della famiglia borghese, è ancora oggi uno dei suoi lavori più discussi, spesso analizzato in chiave femminista e psicoanalitica.

Pubblicato in America per la prima volta nel 1962, Abbiamo sempre vissuto nel castello è l’ultimo romanzo di Shirley Jackson, una delle voci fondamentali della narrativa gotica americana, autrice del celebre L’incubo di Hill House e maestra nel raccontare l’orrore dentro la quotidianità. La storia è narrata da Mary Katherine Merricat Blackwood, diciottenne che vive isolata con la sorella Constance e lo zio Julian dopo l’avvelenamento della loro famiglia: una tragedia rimasta irrisolta, che però ha trasformato le sopravvissute in reiette del villaggio. L’arrivo del cugino Charles incrina il fragile equilibrio domestico, facendo emergere verità taciute, dipendenze affettive e la diffidenza rabbiosa di Merricat. Considerato uno dei capolavori della Jackson per la tensione psicologica, il romanzo esplora la reazione al trauma, all’isolamento, e l’austera autorità familiare attraverso i caratteri speculari delle due indimenticabili protagoniste.

Una donna che è stata un’artista, inizia a mutare una volta che ha deciso di ritirarsi nel ruolo di casalinga e madre. Sente il corpo cambiare: le spunta il pelo e poi una coda, l’olfatto e l’istinto sembrano prendere il sopravvento. Con un equilibrio sorprendente tra grottesco, ironia e body horror, Rachel Yoder racconta la storia di una madre che, sopraffatta dalla solitudine e dal carico mentale, crede di trasformarsi (o forse si trasforma davvero) in un cane. Yoder esplora la metamorfosi come liberazione e furia creativa, evitando giudizi e moralismi. La protagonista attraversa impulsi animaleschi, rituali arcaici e desideri repressi, mentre tenta di riconciliarsi con un’identità che non coincide più con la precedente.

TESTO: AMBRA USELLINI
ILLUSTRAZIONE: GIULIA BERTASI