martedì, 25.11.2025
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Il linguaggio dell’imprecisione: come il lessico pseudoscientifico guida la comunicazione nel mondo della skincare

Il mondo della cosmetica vive da qualche anno una grossa contraddizione: da un lato richiama costantemente alla scienza, vorrebbe essere una sua cugina lontana, usa termini dal sapore accademico e immagini che sembrano estratte da un libro di biologia; dall’altro, comunica tramite un linguaggio che di scientifico ha ben poco.

L’obiettivo è chiaramente quello di ricoprire di una veste rigorosa, autorevole, medicale il prodotto che si sta cercando di vendere, creando una falsa aura di solennità, con la speranza che questo possa aumentare la fiducia (e la voglia di metter mano al portafogli) del consumatore. La scienza però è piena di tecnicismi e termini difficili e per questo, diciamocelo, può risultare talvolta abbastanza noiosa, se non addirittura astrusa. La comunicazione nella skincare invece, vuole essere sì credibile, ma anche appetibile, divertente e soprattutto comprensibile al maggior numero di potenziali consumatori: ecco perché il linguaggio che si utilizza di più nel mondo della cosmesi è quello «pseudoscientifico»: una sorta scorciatoia alla complessità.

Ha spiegato bene questo fenomeno The Ordinary, che ha approfittato dell’allineamento comunicativo degli altri brand per creare una controtendenza, lanciando la «Periodic Fable» – A scientific Table with Zero Science: una tavola periodica degli elementi dove a ogni casella corrisponde un termine o un’espressione priva di base scientifica. L’idea, che personalmente come dermatologa ho trovato geniale, mi ha spinta a dare il mio piccolo contributo alla causa.

A questa lista (dove compaiono parole ed espressioni molto usate in questo settore, come: Paraben Free, Pore Erasing, Cruelty Free, Medical Grade, Perfect) ho aggiunto altri quattro termini pseudoscientifici fuorvianti molto diffusi nel mondo della cosmesi, che non significano assolutamente nulla nel mondo della scienza, votati sulla base di quanto bene riescono a camuffarsi nel vocabolario di uso comune di una persona che mastica la dermatologia ogni giorno.

1. RIMPOLPANTE

Cominciamo con il mio termine preferito: rimpolpante. Se mi avessero regalato 1 euro ogni volta che ho letto o sentito questo aggettivo sui social, probabilmente a quest’ora vi scriverei dalla mia villa di Malibu. Il termine «rimpolpare» è ridicolo se ci riferiamo alla sua radice semantica («restituire-polpa») – non siamo infatti pomodori –, vacuo se ci riferiamo al concetto di «rendere più ricco, arricchire»: arricchiamo dove? Con cosa? Secondo quale meccanismo?

Si tratta generalmente di prodotti contenenti umettanti come glicerolo, urea o acido ialuronico, capaci di donare un transitorio effetto idratante alla pelle, che dunque apparirà più levigata per qualche ora.

Evocativo di qualcosa di succoso, foneticamente interessante, non ci prova nemmeno a farsi prendere sul serio: a una convention di termini scientifici lo rimbalzerebbero all’ingresso.

Voto: 3 e 1/2

2. DETOX

Sempreverde della comunicazione social, molto amato dalle influencer e dai brand che vendono integratori, il termine detox per me è praticamente una cartina tornasole di cialtroneria, soprattutto quando utilizzato per spiegare una qualche miracolosa proprietà nella skincare.

Madre Natura ci ha fornito di questo organo meraviglioso, che è la pelle, per proteggerci dal mondo esterno e dai traumi meccanici, per regolare la nostra temperatura, captare l’ambiente circostante, e anche se attraverso la pelle sudiamo – udite, udite! –, con il sudore eliminiamo sali, non tossine.

La funzioni di escrezione e filtrazione (è questo il modo corretto per parlare di «detox) sono ad appannaggio di reni e fegato. Va da sé che nessun siero o crema potrà mai aumentare una funzione che – di fatto – la pelle non possiede.

Alla convention di termini scientifici forse passa davanti a «rimpolpante», ma lo beccano all’uscio quando tira fuori la tisana alla curcuma e cardamomo.

Voto: 5

3. PELLE ASFITTICA

Ve lo posso giurare. Mai, per nessun motivo, in nessun libro serio di dermatologia pubblicato dagli anni ‘70 in poi troverete la definizione «pelle asfittica». Un termine che, oltre a essere cacofonico, è assolutamente obsoleto. Per parlare di pelle asfittica, dovremmo prima di tutto dimostrare che la pelle «respira» attraverso i pori (concetto superato da almeno cinquant’anni). Successivamente, che un qualcosa impedisca questa respirazione, portando all’asfissia cutanea. Infine, che un prodotto cosmetico sia capace di eseguire una sorta di manovra di disostruzione delle vie aeree dei pori, ripristinando il naturale stato della cute e facendo finalmente respirare la nostra pelle.

Capite che se ve la metto in questi termini, il dubbio che ci sia qualcosa di veramente poco credibile potrebbe venire a chiunque. La verità è che una pelle asfittica è molto spesso una pelle con dermatite seborroica, ma la parola «seborroica» è anche associata a qualcosa di sporco, non piace, crea disagio in chi potrebbe soffrire di questa problematica, in altre parole: non vende.

Alla convention di termini scientifici lei entra e si gode metà serata, poi fortunatamente qualcuno nato dopo il 1985 la riconosce e chiama la sicurezza.

Voto: 8 e ½

4. NICHEL-FREE

Uno dei termini più scivolosi e semanticamente scorretti della cosmetica, fortunatamente vietato dal 2009, in quanto considerato fuorviante per il consumatore. Il nichel, infatti, è un contaminante ubiquitario presente non solo nelle materie prime utilizzate per produrre cosmetici, ma anche negli impianti di produzione e nelle acque di lavorazione. A livello pratico quindi, l’assenza assoluta di nichel è impossibile.

Quello che un cosmetico può dichiarare, dopo opportune valutazioni standardizzate, è di essere nichel tested, ovvero contenere tracce di nichel sotto una certa soglia.

Alla convention di termini scientifici entra dalla porta sul retro, con i fumogeni e il passamontagna, essendo latitante.

Voto: 7

A questi termini potrebbero aggiungersene molti altri, parole magiche che si leggono ogni giorno sulle confezioni di creme, sieri o prodotti per capelli, quasi a scopo decorativo. Il linguaggio cosmetico però non può essere considerato un manierismo: le parole, se usate con finta solennità e con la promessa di falsi risultati, condizionano in modo trasversale anche la credibilità del mondo scientifico. Per questo è responsabilità di tutte le categorie ricercare un linguaggio che sia basato sulla scienza, non sulla retorica.

Per il consumatore, l’invito è sempre quello di essere curiosi, porsi delle domande, non lasciarsi imbonire da claim accattivanti e consultare sempre fonti autorevoli quando si hanno dei dubbi.